LA CHIRURGIA VASCOLARE FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Nel suo vastissimo campo di applicazione, che interessa tutto il sistema circolatorio - patologie arteriose ostruttive e dilatative a carico dei vari distretti, patologie venose, patologie ulcerative degli arti inferiori-, la chirurgia vascolare rappresenta una delle specialità che più si avvantaggiano delle innovazioni tecnologiche ed è quindi in grado di offrire un ampio ventaglio di possibilità terapeutiche e di conseguire risultati sempre migliori nella cura delle malattie vascolari croniche e acute.
Ne parliamo con il professor Pietro Rispoli, Direttore della Chirurgia Vascolare Universitaria e la sua équipe.
Professor Rispoli, quali sono state le tappe più incisive della sua lunga e brillante carriera?
Ho iniziato la mia carriera universitaria nel 1974, dapprima come cardiochirurgo e chirurgo generale; mi occupo esclusivamente di chirurgia vascolare dal 1980. Ho effettuato diversi stage di studio e formazione in Francia per un totale di oltre un anno e nel 2004 sono diventato professore ordinario e direttore della Divisione Universitaria di questa specialità. L'attività che ritengo in assoluto più gratificante del mio mestiere, oltre s'intende a quella clinica e chirurgica, è però quella formativa, che ho sempre praticato, ma che ha subito un'accelerazione e un completamento nel 1987 quando, grazie all'intuizione del compianto professor Alberto Maria Raso, fu istituita a Torino la Scuola di Specializzazione in Chirurgia Vascolare.
Da molti anni ho l'onore e l'onere di dirigere una Scuola di cui siamo orgogliosi, che ha diplomato decine di specialisti, gran parte dei quali presta servizio nelle varie strutture pubbliche della Regione.
Sono stato fortunato, e non soltanto con gli allievi, ma anche con i colleghi del mio gruppo di lavoro, di cui fanno parte il Dottor Luigi Contessa e il Professor Fabio Verzini, venuto qui a Torino da Perugia e destinato ad essere il mio successore. E' un professionista di grande esperienza, di notorietà nazionale e internazionale, che sarà perfettamente in grado di traghettare la nostra Divisione e la Scuola verso le grandi svolte che l'attendono negli anni a venire.
Quali sono le patologie principali delle quali si occupa la vostra Divisione?
Si occupa principalmente degli aneurismi dell'aorta addominale e toraco-addominale, di chirurgia carotidea e dei tronchi sovra-aortici, di rivascolarizzazione degli arti inferiori per ischemia critica, di chirurgia flebologica con tecnica mini invasiva laser e con scleroterapia ecoguidata, e del piede diabetico, nonché di innesti cutanei autologhi dermoepidermici per il trattamento delle ulcere vascolari. Il reparto svolge inoltre attività ambulatoriale, garantendo un servizio di ecocolorDoppler arterioso ed eseguendo visite vascolari arteriose e venose, visite di scleroterapia ecoguidata, per ulcere vascolari e controlli postoperatori dei pazienti operati. La Divisione effettua inoltre turni di servizio di pronto soccorso vascolare per la rete metropolitana di Torino e provincia.
Quali sono state, ad oggi, le svolte più importanti della Chirurgia Vascolare?
Con le incredibili innovazioni degli ultimi anni, la Chirurgia Vascolare è quasi diventata una specialità diversa. La mini invasività consente ormai di trattare in modo sempre più efficace e sempre meno aggressivo patologie anche molto gravi, come l'aneurisma dell'aorta toracica (dilatazione progressiva e localizzata dei vari segmenti dell'aorta toracica, N.d.R)
Questi progressi sono ormai irrefrenabili a livello planetario; eppure, anche se può apparire paradossale, è necessario che vengano controllati, affidandosi alle competenze professionali e anche al buon senso, perché questa materia può prestarsi ad esagerazioni e anche a possibile inappropriatezza. Soprattutto, non si deve dimenticare che esiste ancora un ampio spazio per la chirurgia aperta, alla quale si ricorre per il trattamento dei casi che non possono beneficiare di chirurgia endovascolare o per le sempre possibili complicanze di quest'ultima. Se il chirurgo vascolare non ha un vissuto e una solida esperienza di chirurgia aperta, si creano gravi lacune di preparazione che fanno venir meno la capacità di affrontare certe situazioni, soprattutto in regime di urgenza.
E di questo occorre tener conto, nel percorso formativo...
Certo. La formazione deve essere focalizzata anche sulle tecniche tradizionali, dalla cui conoscenza non si può assolutamente prescindere. Non si tratta di una considerazione banale: il corso di specializzazione dura 5 anni, e molte sono le scuole che hanno optato per lo shift pressoché totale verso le nuove tecnologie: una scelta che, a mio avviso, causa un deficit di preparazione preoccupante. Nella nostra Scuola, questa antinomia al momento non esiste: gli specializzandi vengono preparati in modo da coprire tutto l'arco delle tecniche chirurgiche. Il diagramma dell'apprendimento è ripido nella chirurgia vascolare: 5 anni rappresentano un'ottima introduzione nel mondo del lavoro, ma la formazione ovviamente deve proseguire negli anni: non si esaurisce certo con la specializzazione, ma si basa su un training continuativo.
Può farmi un esempio di patologia prima trattata in modo tradizionale e ora con tecniche meno invasive?
L'esempio più noto è quello dell'aneurisma dell'aorta addominale, che in alcuni centri viene trattato ormai quasi esclusivamente con la chirurgia endovascolare. Noi siamo ancora relativamente conservatori: raggiungiamo una percentuale molto equilibrata del 50%, con una possibile tendenza all'incremento. Questo significa che sui 500 aneurismi che operiamo nell'arco di 5 anni, circa 250 vengono trattati per via endovascolare.
Come si esegue questo tipo di intervento, professor Verzini?
La riparazione endovascolare dell'aneurisma, o EVAR (Endovascular Aneurysm Repair), che rappresenta una straordinaria alternativa all'apertura chirurgica dell'addome 'a cielo aperto', richiede una piccola incisione all'inguine in anestesia locale. Attraverso questo taglietto si introduce un catetere di minime dimensioni, all'interno del quale è stata posizionata una protesi endovascolare. Il catetere raggiunge l'arteria danneggiata nella quale si è sviluppato l'aneurisma e, posizionato al suo interno, isola l'aneurisma dal normale flusso sanguigno e lo sostituisce liberando l'endoprotesi incapsulata. Sempre più spesso queste manovre possono essere eseguite anche senza il taglietto di cui sopra, ma addirittura attraverso una puntura percutanea.
Il paziente ad alto rischio viene così trattato in modo altamente efficace quanto poco invasivo.
Ovviamente queste tecniche presentano minori rischi rispetto alla chirurgia tradizionale
Nell'immediato certamente sì; e questo non soltanto perché evitano l'apertura addominale, ma anche perché alla chirurgia tradizionale potevano essere sottoposti solo pazienti che presentavano certe caratteristiche cliniche, per cui poteva accadere che alcuni morissero a causa della malattia non operata. Prendiamo ad esempio la delicatissima patologia dell'arco dell'aorta, per il cui trattamento collaboriamo strettamente con la divisione di Cardiochirurgia diretta dal Professor Rinaldi: ricorrere alla chirurgia mini invasiva endovascolare, in questo caso, significa dare possibilità di sopravvivenza anche a chi ne aveva poche in un recente passato. Queste nuove tecniche, insomma, hanno completamente cambiato le carte in tavola, non soltanto a favore dei pazienti anziani, affetti dalle patologie tipiche dell'età, ma anche di giovani pazienti che riportano traumi gravi da incidenti con l'interessamento dell'aorta toracica. Operare a cielo aperto il paziente in un quadro di grave shock emorragico equivale, con alta probabilità, a perderlo.
Dottor Contessa, ci parli delle patologie circolatorie venose.
Si tratta di patologie estremamente diffuse: si calcola che in Italia, fra gli ultrasettantenni, un soggetto su 4 sia affetto da insufficienza venosa conclamata e patologica, dovuta ad un difficoltoso ritorno del sangue venoso al cuore. I fattori di rischio, oltre a quello dell'età, sono la familiarità, il sovrappeso, la sedentarietà e le gravidanze. Queste malattie colpiscono più frequentemente il sesso femminile, anche se dopo i 60 anni non esistono più differenze significative fra uomini e donne.
Anche nel campo della flebologia sono avvenuti progressi importanti
Dal 2000 ad oggi, si è assistito a una vera e propria rivoluzione in questo campo, sia nell'impostazione chirurgica, sia in quella terapeutica; si è infatti passati dalla cura radicale dell'insufficienza venosa a quella mini invasiva, proprio come nel caso dell'aneurisma che ha illustrato il professor Verzini. Il nostro scopo non è quello di far 'guarire' dalla malattia cronica, ma di curarne i sintomi. Quando l'insufficienza venosa è associata ad ulcere cutanee di severa entità, ispessimento patologico della pelle e dolore invalidante alle gambe, si ricorre sempre più frequentemente alla terapia laser, una metodica relativamente recente, che venne codificata nel 2001 da Min, Navarro e Bonè con l'acronimo EVLT (Endovenous Laser Treatment o Endovenous Laser Therapy) .
Questa tecnica prevede l'inserimento di un piccolo catetere (2 mm di diametro) per via percutanea, dalla rima articolare del ginocchio, dove viene praticata una microincisione e fatto proseguire fino all'inguine. Sotto guida ecografica, posizionato il catetere, il raggio laser, che si trova alla sua estremità, rilascia l'energia per riscaldare la parete della
vena varicosa responsabile dell'insufficienza venosa e trasforma il vaso in un cordone fibroso. A questo punto, il sangue sarà naturalmente reindirizzato ad una delle vene sane attraverso un circolo collaterale. Le cosiddette vene residue verranno trattate con micro flebectomie. In questo modo, riducendo il sovraccarico venoso, riusciamo ad ottenere vantaggi clinici molto significativi.
Quali, principalmente?
Il trattamento endovascolare delle varici consente una risoluzione quasi immediata dei sintomi, grazie ad un intervento la cui durata si aggira mediamente sui 35 minuti. Questa tecnica comporta una minore aggressività e la riduzione del dolore post-operatorio. Inutile aggiungere che la procedura è anche bene accetta dal paziente, il quale, dopo l'intervento, potrà alzarsi quasi subito dal letto operatorio e tornare a casa. Alla soddisfazione del paziente si aggiunge anche un altro non trascurabile vantaggio, dal punto di vista sociale: l'ambulatorietà delle procedure comporta una significativa riduzione dei costi di gestione.
Professor Verzini, che cosa si propone, in questa nuova fase della sua vita professionale?
Il professor Rispoli non solo è stato ed è un maestro della chirurgia vascolare classica, declinata in tutte le sue variazioni- la carotidea, l'aneurismatica, le patologie arteriose degli arti inferiori, ma ha avuto anche il merito di aver formato una eccellente équipe di specialisti che hanno la possibilità di proporre e investigare tutte le tecniche chirurgiche, adeguandosi così agli incessanti progressi di questa specialità. Tengo a precisare che nella nostra Divisione si curano anche le problematiche delicate e scottanti delle lesioni e delle arteriopatie dovute al diabete, dell'ischemia degli arti inferiori, delle ulcere. La nostra équipe è chiamata a collaborare con tutti gli altri professionisti delle varie branche specialistiche di questa enorme Azienda per risolvere ogni tipo di problema vascolare, ed è ovviamente a disposizione di tutte le sale operatorie in caso di emorragia intraoperatoria. Certamente con il mio arrivo il professor Rispoli ha inteso potenziare ulteriormente la terapia mini invasiva che all'interno del gruppo si era già sviluppata. Aggiungo che, nella scelta più corretta delle terapie dal punto di vista del rapporto costi-benefici, siamo sostenuti dalle linee-guida, che come co-autore continuo a scrivere con grande impegno per le Società cardiovascolari italiana ed europea: proprio da questo deriva la mia notorietà alla quale accennava il nostro Direttore.
I progressi nel vostro campo, Dottor Contessa, si sono riverberati anche su una particolare categoria di pazienti: quelli, diciamo, della terza età...
Senz'altro. Queste nuove terapie mini invasive consentono ormai di curare anche pazienti in età molto avanzata che, d'altronde, sono quelli maggiormente colpiti da queste patologie.
In un senso più generale , trattare i grandi anziani costituisce una delle sfide dei nostri tempi.
Professor Rispoli, può allora verificarsi il rischio che ci si possa credere immortali e che la morte venga considerata un errore della Medicina?
R.D. Laing diceva: "La vita è una malattia a trasmissione sessuale con un tasso di mortalità del 100%" e il grande Woody Allen affermava: "La morte? Sono contrario".
Battute a parte, la colpa è anche di noi specialisti, che talora esageriamo nel decantare i 'miracoli' delle terapie a disposizione, rischiando così di banalizzare anche le patologie più gravi. I progressi sono reali e tangibili, ma non si deve vendere fumo. Occorre rimanere con i piedi saldamente per terra, tenersi sempre aggiornati e cercare di offrire le cure e le tecnologie migliori e più affidabili, con molta attenzione anche ai costi; coa possibile ma non sempre scontata. Il paziente deve essere sempre informato dettagliatamente, cosa tra l'altro formalmente prescritta dalla legge, ma non dobbiamo né demotivarlo, né edulcorare eccessivamente la situazione. E' un equilibrio delicato che va trovato di volta in volta. Certo, qualche parola di troppo può sfuggire, nell'entusiasmo del nostro lavoro, che esercitiamo ogni giorno con dedizione, sacrificio e passione.
Marina Rota
Intervista Prof. Rispoli (pdf - 105 KB)
*Divisione Universitaria di Chirurgia Vascolare
Dott. Gianni Barile
Dott. Giacomo Capaldi
Dott. Luigi Contessa
Dott. Paolo Garneri
Dott. Lorenzo Gibello
Dott. Matteo Ripepi
Prof. Pietro Rispoli
Dott. Gianfranco Varetto
Prof. Fabio Verzini
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